
Il contributo elaborato dal Prof. Lucio Imberti, Ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Bergamo, offre un sunto della pregevole relazione tenuta dal medesimo in occasione del convegno “La gestione del rapporto di lavoro nell’impresa in crisi”, organizzato dall’Associazione il 21.11.2024 e costituisce un interessante approfondimento circa le novità in ambito giuslavoristico introdotte dal c.d. “Correttivo Ter” al CCI.
Si ringrazia il Prof. Lucio Imberti per il suo prezioso contributo.
I rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale dopo il correttivo TER al CCI
di Lucio Imberti
Ordinario di Diritto del Lavoro – Università degli Studi di Bergamo
Sommario: 1. Il correttivo ter del CCI e i rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale: il “nuovo” art. 189. – 2. Naspi e liquidazione giudiziale: il “nuovo” comma 1-bis dell’art. 190. – 3. Conclusioni: la tutela (del reddito) dei lavoratori attraverso la Naspi a fronte della prioritaria tutela dei creditori e della più agevole riduzione degli organici nella liquidazione giudiziale.
- Il correttivo ter del CCI e i rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale: il “nuovo” art. 189.
Il d.lgs. n. 136/2024 è il terzo intervento correttivo – dopo quelli operati con il d.lgs. n. 147/2020 e con il d.lgs. n. 83/2022 – del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi solo CCI).
L’art. 32 del d.lgs. n. 136/2024 sostituisce integralmente l’art. 189 CCI, per quanto gran parte del testo previgente sia riproposto identico anche nella nuova formulazione.
L’intervento “correttivo”, senza stravolgere il testo previgente, intende chiarire, a scanso di equivoci “giuslavoristici”, la specialità della disciplina dei rapporti di lavoro subordinato nella liquidazione giudiziale.
In questo senso può essere letta la nuova formulazione dell’art. 189, comma 1, ove ora si dispone che «i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa sono sospesi fino a quando il curatore, …, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso», mentre è stato eliminato il primo periodo, ove si affermava che «l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento». Secondo la Relazione illustrativa, il comma 1 ha subito modifiche volte alla semplificazione della norma, come l’eliminazione del primo periodo, non utile rispetto a quanto previsto da quello successivo, oppure a renderla più chiara.
Il comma 2 dell’art. 189 è rimasto sostanzialmente invariato e prevede che il recesso del curatore dai rapporti di lavoro subordinato sospesi ai sensi del comma 1 abbia effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, mentre il subentro del curatore nei rapporti di lavoro subordinato sospesi decorra dalla comunicazione dal medesimo effettuata ai lavoratori. Si conferma, quindi, che se durante il periodo di sospensione il curatore decide di subentrare nei rapporti di lavoro, tale subentro decorre solo dalla comunicazione dal medesimo effettuata ai lavoratori, non essendo quindi dovute retribuzioni e contribuzioni per il lasso di tempo dalla data di apertura della liquidazione giudiziale sino alla comunicazione di subentro da parte del curatore. Diversamente l’effetto del recesso del curatore retroagisce alla data di apertura della liquidazione giudiziale.
Il primo e secondo periodo del comma 3 dell’art. 189 prevedono – come riformulati dall’art. 32, d.lgs. n. 136/2024 – che «quando non è disposta né autorizzata la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa e non è possibile il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, il curatore comunica per iscritto il recesso dai relativi rapporti di lavoro subordinato. In ogni caso, …, decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato in essere cessano con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale». La norma nel nuovo testo ripropone – nella sostanza e negli effetti – il “vecchio” testo, limitandosi ad adottare una nuova terminologia e, in particolare, sostituendo la controversa «risoluzione di diritto» con la più laconica e asettica «cessazione».
Utile ed opportuna – a concreti fini applicativi e di tutela dei lavoratori – appare invece l’aggiunta di un terzo periodo al comma 3, ove si chiarisce che «in caso di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi del presente articolo non è dovuta dal lavoratore la restituzione delle somme eventualmente ricevute, a titolo assistenziale o previdenziale, nel periodo di sospensione».
La riscrittura del comma 4 lascia sostanzialmente inalterata la previsione di una possibile proroga del periodo di quattro mesi di sospensione dei lavoratori se sussistono elementi concreti per l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa o per il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, anche se la disciplina viene opportunamente e razionalmente semplificata. Peraltro, a quanto consta allo scrivente, la richiesta di proroga del periodo di sospensione oltre i quattro mesi è risultata, alla prova dei fatti, un’ipotesi estremamente rara, per non dire eccezionale.
Immutato rimane il comma 5, che consente al lavoratore di rassegnare le dimissioni per giusta causa durante il periodo di sospensione del rapporto lavorativo in pendenza della liquidazione giudiziale (e prima che sia intervenuta la comunicazione del curatore in ordine al subentro ovvero al recesso), ottenendo il pagamento dell’indennità di mancato preavviso e l’accesso al trattamento Naspi (v. infra il § 2).
Invariato rimane anche il lungo ed articolato comma 6, ove si prevede una procedura più rapida e semplice per il licenziamento collettivo nell’ambito di una liquidazione giudiziale rispetto a quella ordinariamente prevista dalla l. n. 223/1991.
Il comma 7 dell’art. 189 – come novellato dall’art. 32, d.lgs. n. 136/2024 – opportunamente chiarisce l’esclusione dal campo di applicazione della c.d. “normativa anti-delocalizzazioni” dei licenziamenti collettivi intimati nell’ambito della liquidazione giudiziale.
La riscrittura dei commi 8, 9 e 10 – sostanzialmente coincidenti con i commi 7, 8 e 9 del previgente art. 189 – ha, secondo la Relazione illustrativa, natura per lo più terminologica, intendendo assicurare una maggiore chiarezza delle disposizioni in essi contenute.
In particolare, il comma 9 torna ad affermare che, in ogni caso di cessazione del rapporto ai sensi dell’art. 189, spetta al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato l’indennità di mancato preavviso, da considerare – ai fini dell’ammissione al passivo e unitamente al trattamento di fine rapporto – come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale. Il secondo periodo del comma 9 dispone poi che, nei casi di cessazione del rapporto ai sensi dell’art. 189, il c.d. “ticket” licenziamento è ammesso al passivo come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale.
Al comma 10 si prevede, infine, che, se è disposta o autorizzata la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, i rapporti di lavoro subordinato in essere a loro volta proseguono, pur rimanendo salva la facoltà del curatore di sospenderli (avvalendosi delle disposizioni del medesimo art. 189) ovvero di procedere al licenziamento dei lavoratori.
- Naspi e liquidazione giudiziale: il “nuovo” comma 1-bis dell’art. 190
L’art. 190 («Trattamento Naspi»), comma 1 del CCI stabilisce, in sintesi, per i lavoratori subordinati dell’impresa in liquidazione giudiziale un regime di accesso alla Naspi sostanzialmente ordinario ai sensi del d.lgs. n. 22/2015, che opera quindi solo in presenza dei relativi requisiti e in caso di cessazione del rapporto di lavoro.
La norma appare pleonastica: deve, al riguardo, essere ricordato che tale previsione è mutata in modo pressoché integrale nel suo contenuto rispetto alla formulazione originariamente inclusa nello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 novembre 2018, che all’art. 190 contemplava l’anticipazione del trattamento Naspi durante la fase di sospensione dei rapporti di lavoro nell’ambito della liquidazione giudiziale (si prevedeva che al lavoratore fosse corrisposto, a partire dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, un trattamento equivalente a quello di Naspi, denominato NaspiLG. La NaspiLG è, tuttavia, venuta meno in sede di approvazione definitiva del CCI).
L’art. 32 del d.lgs. n. 136/2024 non muta in nulla il comma 1 dell’art. 190 CCI, mentre aggiunge allo stesso un comma 1-bis, ove si prevede che «i termini per la presentazione della domanda … decorrono dalla comunicazione della cessazione da parte del curatore o delle dimissioni del lavoratore».
Questa opportuna precisazione chiarisce alcuni aspetti delle modalità di accesso alla Naspi nelle ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro previste dall’art. 189 CCI e recepisce nel testo legislativo l’orientamento già assunto dall’Inps in una sua circolare[1], laddove si chiariva che il termine di 68 giorni legislativamente previsto, a pena di decadenza, per la presentazione della domanda di Naspi decorre dalla data in cui il lavoratore rassegna le proprie dimissioni ovvero dalla data in cui la comunicazione del recesso effettuata dal curatore medesimo è pervenuta a conoscenza del lavoratore ovvero, nell’ipotesi della risoluzione di diritto (oggi “cessazione”), dalla data in cui il rapporto si intende risolto di diritto (oggi “cessato”).
- Conclusioni: la tutela (del reddito) dei lavoratori attraverso la Naspi a fronte della prioritaria tutela dei creditori e della più agevole riduzione degli organici nella liquidazione giudiziale
Gli interventi di cui al d.lgs. n. 136/2024 sembrano costituire più delucidazioni a fini interpretativi ed applicativi del testo del CCI previgente che non effettive modifiche dello stesso.
La direzione in cui si muove il terzo decreto correttivo del CCI è, però, senza dubbio quella di rafforzare la facoltà per il curatore di “sciogliersi” con relativa semplicità dai rapporti di lavoro subordinato in essere al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale.
Senonché tale opzione legislativa parrebbe andare in controtendenza rispetto all’obiettivo palesato a più riprese nello stesso CCI, vale a dire favorire la continuità dell’azienda in crisi e il “salvataggio” della sua parte ancora potenzialmente produttiva e “commerciabile”.
Infatti, l’art. 189 se, da un lato, sospende senza retribuzione e contribuzione i lavoratori, dall’altro, agevola (quasi induce) i lavoratori stessi a dimettersi per accedere alla Naspi ed ottenere così un reddito.
L’effetto, per certi versi paradossale, che pare essersi realizzato nei primi due anni di applicazione delle norme “giuslavoristiche” della liquidazione giudiziale è, quindi, quello di determinare una “fuga” repentina e subitanea dei lavoratori, in particolar modo quelli professionalmente più qualificati ovvero proprio quelli che sarebbero certamente più appetibili per l’eventuale acquirente dell’azienda in crisi, ma che allo stesso tempo sono quelli che più facilmente e rapidamente si collocano sul mercato e sono conseguentemente poco inclini a rimanere “sospesi”. Ciò determina, inevitabilmente, nel potenziale acquirente un minore interesse all’acquisizione dell’azienda una volta rimasta priva dei suoi lavoratori “fondamentali”.
Fermo restando che anche nel CCI né la continuità aziendale, né la conservazione dei livelli occupazionali rappresentano interessi che l’ordinamento tutela autonomamente o, tantomeno, il fine della procedura, ma solo un mezzo per assicurare meglio l’interesse creditorio, pare tuttavia plausibile affermare che – in casi concreti noti a chi scrive – dalla perdita del patrimonio professionale costituito soprattutto dai lavoratori più qualificati possa derivare direttamente anche un depauperamento dell’appetibilità dell’azienda sul mercato e conseguentemente del valore di realizzo derivante dalla sua vendita poi messo a disposizione proprio dei creditori.
[1] Circolare Inps, 10 febbraio 2023, n. 21, avente ad oggetto «Accesso alla prestazione di disoccupazione NASpI in caso di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni per giusta causa, recesso del curatore o risoluzione di diritto durante la procedura di liquidazione giudiziale».